L'ITALIANA IN ALGERI
LO SPETTACOLO Autore: gioachino rossini
Regia: giovanni dispenza, direttore m.a. taddia
Genere: opera
Compagnia/Produzione: teatro comunale di cento
L'ITALIANA A CENTO
«Apoteosi del nonsense fonetico trascinato nell'assoluto delirio ludico [L'italiana in Algeri] cadde sulle scene del San Benedetto come meteorite proveniente da galassie sconosciute, producendo un vero trauma nelle facoltà percettive degli spettatori i quali, come ricorda Sthendal, non riuscivano più a respirare e si asciugavano gli occhi». Questo scrive Giovanni Carli Ballola nel suo recente "Rossini", a proposito del Finale dell'atto primo de "L'italiana in Algeri". Forse, più che un meteorite la potremmo definire una perfetta macchina da guerra, quella approntata nel maggio 1813 dal giovane Pesarese, destinata ad abbattere le resistenze del pubblico veneziano. Lo stesso che gremiva quelle sale - il San Benedetto e il San Moisé - che gli stavano offrendo un trampolino di lancio per una carriera fulminante. Un ariete pronto a travolgere le resistenze anche dello spettatore più controllato e diffidente, appena si trovava davanti allo stralunato frastuono collettivo di «Nella testa ho un campanello che suonando fa din din…», folgorante anticipazione di altri travolgenti finali d'atto che verranno in seguito. La perfetta geometria di questo capolavoro segna infatti l'emancipazione dalla comicità 'alla francese' delle farse del San Moisè, ed una raggiunta maturità che si dispiegherà in un rapido susseguirsi di partiture inarrivabili: di lì ad un passo verrà la salace ironia de "Il turco in Italia, poi la travolgente comicità de "Il barbiere di Siviglia", ed infine la tenera sentimentalità de "La cenerentola". Vale a dire, il comico in musica in tutte le sue declinazioni di carattere, e in tutti i suoi gradienti di colore. Come il tempo ha dimostrato, tutte partiture perfette per compagnie formate da giovani, come nel caso di questa 'piccola' produzione de "L'italiana in Algeri" presentata al Teatro Borgatti di Cento e poi nel Consorziale di Budrio, che l'ha coprodotta; produzione posta sotto la guida musicale di Massimo Alessio Taddia e quella registica di Giovanni Dispenza. Giovani talora ancora relativamente poco conosciuti ma promettenti, come nel caso del mezzosoprano italo-peruviano Josefina Brivio, vincitrice di importanti concorsi e interprete ideale del repertorio rossiniano: qui presente con un'Isabella dalla verve spiritosa, consapevole e disinvolta nella tecnica di coloratura come stavano a dimostrare le due celebri arie («Cruda sorte!» e «Per lui che adoro", corredo imprescindibile per ogni mezzosoprano che si rispetti) che sono state da lei declinate con misurata eleganza ed olimpica scioltezza. Il basso Italo Proferisce era un Mustafà quasi surreale nella sua comicità, vanitoso e superbo, tratteggiato con un fraseggio ironico e divertente. Il baritono Andrea Zaupa malgrado l'età ancor fresca vanta un curriculum già interessante, che comprende varie apparizioni in prime parti al Comunale di Bologna - frutto delle frequentazione dell'Accademia di canto ivi installatasi - ed in altre importanti realtà: a suo agio nelle parti comiche come questa di Taddeo, ha dalla sua una tecnica attenta, ed una mimica disinvolta e stralunata che cattura la simpatia dello spettatore. Il tenore Gianluca Pasolini è giovane di carriera, anche se non anagraficamente, dal momento che è giunto infatti abbastanza tardi sulle scene. Nondimeno, ha dalla sua una vocalità più che ragguardevole, e nel repertorio belcantistico potrebbe ben dire la sua, come hanno dimostrato altre sue interessanti prove - vedi il Percy d'una bella "Anna Bolena" bergamasca del 2006. Peccato che si mostrasse impacciato nella recitazione, con un atteggiamento remissivo che non giova al personaggio franco e virile di Lindoro, che in «Languir per una bella» non dovrebbe cadere nel piagnisteo, e in «Oh come il cor di giubilo» non dovrebbe mostrare una gioia stiracchiata. Scilla Cristiano era una graziosissima Elvira, il mezzosoprano Olga Benyk un'amabile Zulma. Il basso-baritono Alberto Bianchi giocava in casa, come si suol dire, essendo natio di Cento: il suo Haly presentava tutte le giuste caratteristiche del personaggio, e «Le femmine d'Italia» è stata ammanita al pubblico con quella sarcastica ironia che le dà sapore.
L'Orchestra Bruno Maderna non è compagine di rango, pur tuttavia Massimo Alessio Taddia ha ricavato da essa buona precisione, ed una discreta gamma di colori; dalla sua bacchetta scaturiva una felice scansione narrativa ed un grande vigore teatrale, sin dal felice episodio iniziale della rutilante Sinfonia. Purtroppo, a guastare la festa stava la pessima prestazione del Coro V.Bellini di Budrio, tutta da dimenticare. La regia di Giovanni Dispenza ha montato uno spettacolo molto vivace nel ritmo, sempre efficace e divertente, facendo virtù dei non larghi mezzi a disposizione. Semplici scenografie, non firmate, costumi della sartoria Bianchi di Milano.
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